La scelta del nome “Artgender” deriva dalla considerazione per cui esso non debba essere usato solamente come il brand che identifica una particolare società che opera nei settori dell’eventistica, dell’editoria e della comunicazione; per noi l’Artgender rappresenta una vera e propria tipologia di essere umano ovvero chi lo è più profondamente.

Non esclude nessuno ma rinomina una categoria, composta da gente molto diversa al proprio interno… di qualunque credo, origine e direzione; ma, accomunata da un unico fattore: quello artistico. Chiunque può essere o sentirsi un artista fin tanto che si preoccupa di produrre o semplicemente accostarsi ad una qualsiasi forma di espressione.

Questa parola, il nostro nome, identifica chi crede che la bellezza sia necessaria, nelle cose, nelle persone, nei pensieri, nelle parole, nei modi… che l’ispirazione contribuisca alla formazione personale e che l’implementazione delle proprie doti contribuisca ad un’evoluzione individuale.

il folle abate della pittura moderna

VAN GOGH: “sempre afflitto, ma sempre lieto”

VAN GOGH: “sempre afflitto, ma sempre lieto”

Il padre della pittura moderna nasce il 30 marzo del 1853 a Zundert, in Olanda, da padre pastore protestante che tentò di impartirgli un’educazione austera che esulava l’arte. Nonostante ciò Vincent Willem van Gogh cominciò a dilettarsi nel disegno fin da subito, per poi decidere, piuttosto tardi, di intraprendere la professione del pittore.

Van Gogh e l’infanzia

Ebbe un’infanzia piuttosto serena, primogenito di cinque figli di una madre dalle origini abbastanza facoltose. Tuttavia non riuscì a terminare gli studi per via di problemi economici del padre e della scarsità nel rendimento scolastico. Proprio a causa di questa sua mancata capacità nel riuscire a scuola, fu mandato presto a lavorare e, grazie alla raccomandazione dello zio già mercante di antiquariato, fu inserito subito in una casa d’arte per la quale in seguito si prodigò molto.

Il rapporto con la religione

Il lavoro gli permise di viaggiare e spostarsi in diversi luoghi prima di giungere a Londra. Fu proprio qui che ebbe la sua prima delusione amorosa quando, dichiarandosi alla figlia della proprietaria della pensione in cui risiedeva, venne a conoscenza del fatto che ella fosse già fidanzata. Talmente scottato cadde in una seria depressione che lo allontanò dal proprio lavoro e lo avvicinò alla religione.

Dopo circa sette anni della stessa attività, Vincent si ritrovò senza impiego. Condizione che però non durò molto perché solo una quindicina di giorni dopo fu ammesso presso la scuola di un reverendo metodista in un sobborgo di Londra. L’insegnamento non pagava, offriva soltanto vitto e alloggio, ma gli permetteva di dar libero sfogo al suo misticismo religioso, infatti, di lì a poco recitò il suo primo sermone. Rientrato presso la famiglia durante le festività di Natale, i genitori si mostrarono preoccupati dalle condizioni psicofisiche del figlio e lo convinsero a non ripartire trovandogli un posto come commesso presso la libreria di un paese vicino. Anche qui però van Gogh trascurò il lavoro a favore dello studio e delle traduzioni dei testi sacri che lui stesso redigeva.

Rafforzato il proprio credo tentò l’esame di ammissione alla facoltà di teologia, prese parte ad un corso di evangelizzazione e fu catechista per un semestre. Nonostante il suo massimo impegno, tutti i suoi sforzi furono casi di insuccesso; questo però, gli permise finalmente di vedere nell’arte un’opportunità seppur quella di diffondere il messaggio evangelico.

Il ritrovato entusiasmo

Fu un periodo propizio e felice per Vincent, nuovamente pervaso da entusiasmo ed amore per la pittura, tanto che fu spinto ad abbandonare il luogo di miseria e povertà in cui si trovava per recarsi a Bruxelles ad immergersi nel vivo panorama creativo dell’epoca ed apprendere così nuove e più raffinate tecniche. Anche questo equilibrio però fu bruscamente interrotto da un nuovo amore, per una cugina, da cui non fu corrisposto. Questa ulteriore delusione non lo allontanò dall’idea di “trovare una donna” come egli stesso scrisse e non ci mise molto a riuscire nel proprio intento: infatti presto si infatuò di Sien con la quale avviò una relazione. La ragazza era una prostituta trentenne, alcolizzata, butterata dal vaiolo, madre di una bambina e in attesa di un altro figlio. La loro convivenza gravò pesantemente sulle finanze di Vincent che, avendo emancipato dalla prostituzione la propria compagna, dovette mettere da parte la pittura a favore del benessere “familiare”.

L’incompatibilità dei due si fece ben presto evidente e, incoraggiato anche dal fratello, lui la lasciò. Scosso dal naufragio di questo progetto di vita, riprese con ardente passione a dipingere.

Per prendere temporaneamente le distanze dai propri problemi vagabondò per il nord dell’Europa fino a che, stanco, tornò a vivere dai genitori dove realizzò i suoi primi capolavori.

In Francia i primi passi per essere il padre della pittura moderna

A seguito della morte del padre, tuttavia, si rese conto di non poter soffermarsi ancora a lungo in una realtà così piccola, intima e chiusa. Stazionò momentaneamente ad Anversa prima di compiere il grande passo e trasferirsi a Parigi, città che lo aveva ammaliato fin dalla prima visita e in cui si sarebbe ricongiunto con il caro fratello Théo.

Fu qui, nel centro della cultura mondiale, che il padre pittura moderna strinse rapporti e amicizie con grandi artisti con i quali condivideva le visioni sulla pittura; sempre qui riuscì ad essere apprezzato e riconosciuto, persino a vendere un quadro; non a caso, proprio a Parigi, egli cominciò ad utilizzare tonalità più luminose e più vive.

Alla ricerca di paesaggi dai colori ancora più accesi si diresse verso sud, nella Francia meridionale, ad Arles. Col sopraggiungere della primavera iniziò a produrre opere senza sosta e a sviluppare uno stile molto personale. La tanta ispirazione che quel luogo gli evocava, lo spinse a voler fondare un proprio atelier, una comunità solidale di artisti i quali avrebbero riconosciuto un “abate” dedito a mantenere l’ordine. Per questo ruolo van Gogh non pensò ad altri che a Gauguin, il quale però, non ebbe minima intenzione di accettare se non a seguito di un’offerta molto redditizia che ricevette dal fratello di Vincent per convincerlo. I due avevano opinioni troppo divergenti e van Gogh iniziava a manifestare una certa aggressività, fino al giorno in cui si racconta che inseguì Gauguin con un rasoio e facendolo scappare si lesionò per propria mano tagliandosi il lobo dell’orecchio.

Dopo questo episodio Vincent fu ricoverato e, nonostante il supporto di amici e del fratello, egli stesso si rese conto presto della sua malattia psichiatrica, cui ancora oggi non vi è chiarezza. Così di lì a breve decise spontaneamente di affidarsi ad un centro specializzato in disturbi mentali, meglio conosciuto come manicomio.

Il successo in “manicomio”

Le giornate passavano meno infelicemente di quanto avrebbe pensato e non gli veniva negata la possibilità di dipingere, sicché, per quanto squallide fossero le sue condizioni, van Gogh produsse moltissimo ed è proprio in quella situazione che diede vita ad uno dei suoi più celebri capolavori: la “Notte stellata”.

Giunsero i primi interessi da parte del pubblico verso il Van Gogh e qualche menzione della critica così, stanco di quella restrittiva sistemazione, si fece correttamente rilasciare con tanto di attestato di buona salute. Potette finalmente fare ritorno a Parigi dove per la prima volta conobbe il nipotino e la moglie di Théo che intanto si era sposato.

Come stabilito, dopo solo alcuni giorni, si recò ad Auvers-sur-Oise poco distante dalla metropoli francese, località tranquilla in cui risiedeva un medico amico del fratello che si sarebbe potuto occupare di lui: il dottor Gachet. I due strinsero una bella amicizia, ma purtroppo gli sbalzi di umore del pittore influirono negativamente anche su questo neonato rapporto.

Il 27 luglio del 1890, dopo essere rientrato da un pomeriggio di pittura all’aria aperta, van Gogh si fece trovare nel letto sanguinante. Con un proiettile nello stomaco, che il dottor Gachet non era in grado di estrarre, passò la giornata seguente fumando la sua pipa e conversando con il fratello accorso immediatamente. Il 29 luglio si spense per sempre lasciando un vuoto incolmabile in Théo che, dopo un breve periodo di internamento, sei mesi dopo lo seguì.

I due sono sepolti l’uno accanto all’altro e le rispettive lapidi sono unite da un groviglio di edera cresciuta da un ramoscello del giardino del dottor Gachet che la moglie di Théo volle piantare tra loro.

Il padre della pittura moderna

Una vita tormentata ed ingrata, in cui anche il pensiero di non avere avuto figli lo avrebbe rammaricato, se non fosse che egli considerava le proprie opere come sue creature e a detta di molti quella è effettivamente la sua progenie. Non solo, Van Gogh ebbe numerosi discendenti ossia tutti gli artisti che egli fu in grado di condizionare con il proprio genio e la voglia di vedere al di là della realtà, nella profondità delle cose. Si può considerare il padre della pittura moderna. Questo estratto racchiude l’essenza degli ideali vangoghiani i quali esprimono perfettamente il paradosso del dolore ben accetto:

« …invece di abbandonarmi alla disperazione, ho optato per la malinconia attiva, per quel tanto che mi consentiva l’energia, in altre parole ho preferito la malinconia che spera, che aspira e che cerca a quell’altra che, cupa e stagnante, dispera. »

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