La scelta del nome “Artgender” deriva dalla considerazione per cui esso non debba essere usato solamente come il brand che identifica una particolare società che opera nei settori dell’eventistica, dell’editoria e della comunicazione; per noi l’Artgender rappresenta una vera e propria tipologia di essere umano ovvero chi lo è più profondamente.

Non esclude nessuno ma rinomina una categoria, composta da gente molto diversa al proprio interno… di qualunque credo, origine e direzione; ma, accomunata da un unico fattore: quello artistico. Chiunque può essere o sentirsi un artista fin tanto che si preoccupa di produrre o semplicemente accostarsi ad una qualsiasi forma di espressione.

Questa parola, il nostro nome, identifica chi crede che la bellezza sia necessaria, nelle cose, nelle persone, nei pensieri, nelle parole, nei modi… che l’ispirazione contribuisca alla formazione personale e che l’implementazione delle proprie doti contribuisca ad un’evoluzione individuale.

Il lavoro del pittore non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda.
Alberto Sughi

Alberto Sughi, pittore appartenente alla corrente Realista, nasce a Cesena il 5 ottobre 1928 ed esordisce come pittore all’inizio degli anni ’50. Dei suoi anni di formazione il pittore racconta: “Quando sono venuto a Roma nel 1948 dormivamo sulle panchine, negli scantinati e la vita era povera. C’era stata la guerra e quindi dormire in posti del genere ci sembrava normale, non la sentivamo come una sofferenza, come la potremmo avvertire oggi e quello che ci faceva andare avanti era la voglia di essere pittori, l’avere un pensiero diverso, perché c’era grande fermento, i pittori anziani parlavano ed avevamo tutti voglia di imparare e di farlo insieme. E’ stato ed è tutto molto bello perché la passione ha sempre illuminato il mio lavoro, anche nelle difficoltà.” Sin dai primi anni i dipinti di Sughi risentono del dibattito tra astrattismo e figurativismo e, pur ritraendo vari aspetti della vita metropolitana, non si lascia catturare dalla accesa vita politica, preferendo mettere in scena momenti di vita quotidiana senza eroi in una forma figurativa che lo storico e critico d’arte Enrico Crispolti definisce “realismo esistenziale”.

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